La tradizione del maiale e le prime notizie del relative al salame abruzzese hanno radici antiche in Abruzzo e diverse sono le testimonianze letterarie che lo confermano.
Basilio Cascella, attraverso le sue opere, ha documentato e tramandato, tra fine ‘800 e inizio ‘900, la centralità del maiale negli spazi urbani dei centri abruzzesi, sottolineando l’antica funzione di hospes ad esso accordata, nel senso di chi è accolto in famiglia come parte integrante.
Lo stesso Boccaccio, in un passaggio del ‘Decamerone’, aveva fatto notare cinque secoli prima a Frate Cipolla che “in terra d’Abruzzi gli uomini e le femmine vanno in zoccoli su pe’ monti, rivestendo i porci delle lor busecche”, ovvero insaccano la carne di maiale nelle budella.
Testimonianze della diffusione della produzione di salumi in Abruzzo si hanno negli Antichi Capitoli della città di Lanciano (1592), che farebbero supporre l’esistenza di più botteghe di “buccieri” (macellai) e di “pizzicaroli”.
Il maiale in Abruzzo era presente in quasi tutte le famiglie, poiché costituiva fonte preziosa e quasi primaria di carne: il lardo (che si utilizzava come condimento nelle minestre in sostituzione dell’olio), il prosciutto e la spalla venivano consumati solo nelle grandi occasioni, le salsicce ed il salame abruzzese costituivano la “colazione“ dei braccianti agricoli che lavoravano nei campi. Attraverso le sue carni saporite, dunque, declinate in gustosi e tipici salumi, il maiale garantiva un’importante riserva alimentare per tutto l’anno.
Un tempo la tradizione voleva che i maialetti, di due/tre mesi, venissero acquistati nelle fiere di paese o da allevamenti della zona ai primi di giugno o comunque in prossimità del giorno di Sant’Antonio da Padova. La scelta del periodo dell’ingrasso era legata alla maggiore disponibilità nella fattoria di prodotti per l’alimentazione degli animali, soprattutto cereali, mais e altre granaglie, pastoni di fave e favino, ghiande e mele nel periodo autunnale.
L’uccisione del maiale, ovvero la ‘maialatura’, avveniva con l’arrivo dei primi freddi invernali, che cadeva nel mese di gennaio, in fase di luna calante (la’mmanganza), in un periodo compreso tra le festività natalizie e il 17 gennaio, giorno di S. Antonio abate, protettore degli animali. L’uccisione del maiale, il taglio delle carni e le successive preparazioni erano veri e propri rituali collettivi, momenti conviviali e di festa a cui partecipavano parenti e amici dando vita a una manifestazione corale fatta di canti e balli.
Tale tradizione, diffusa a livello regionale, è presente soprattutto nel bacino dei fiumi Sangro e Aventino, in provincia di Chieti, nell’Abruzzo aquilano e nelle zone interne del teramano. In queste zone montane si pratica ancora l’allevamento famigliare di uno, due e raramente più suini destinati alla produzione di salumi per l’autoconsumo.
Tanti i piatti che si preparavano con le carni fresche e che erano consumati nei giorni immediatamente successivi all’uccisione del maiale: tra tutti il cif e ciaf, pezzetti di carni grasse di maiale fritte con aglio e peperone dolce essiccato.
Altri must della “maialatura” erano la polenta unta condita con spezzatino di maiale, il brodo con la testa, le costolette e le salsicce di carne e fegato alla brace. La “scorta” per tutto l’anno era fatta di preparazioni come l’immancabile sanguinaccio dolce (una sorta di crema con zucchero, cioccolato e cannella, da usare come farcitura per i dolci) e poi innumerevoli insaccati come le salsicce di carne e di fegato, la coppa di testa con erbe aromatiche, il capocollo, il salsicciotto frentano, la ventricina, il prosciutto, la pancetta, il lardo e altro ancora.
La maialatura è una tradizione ancora vivissima nel Sud, testimoniata da casi di eccellenza della miglior salumeria artigianale d’Italia tra le quali l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania e la Calabria.
In Abruzzo, in particolare, sopravvivono tecniche di lavorazione che ancora basano il risultato dell’insaccato sulla qualità della carne: nella perfetta tradizione, il nostro salame Aquila, dalla tipica forma piatta, è preparato con carni fresche di suino selezionate e denervate (processo lungo ed oneroso), macinate a grana fine ed insaporite con pepe bianco macinato e pepe nero in grani.
Viene insaccato in budello naturale che conferisce un gusto ed un sapore delicato, con pezzature di circa 250 grammi (Salame Aquilotto) o 450 grammi.
È stato il prodotto vincitore del “Premio Qualità Abruzzo 2016” come miglior salame abruzzese nonché Red Award al Merano Wine Festival e miglior salame senza Glutine al Gluten Free Expo 2016 di Rimini. Si presenta amabile e di profumo intenso, dal gusto morbido: esprime il meglio di sé accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso corposo.
In definitiva, se si hanno a cuore le tradizioni, le produzioni artigianali sono sopravvissute, spesso con le medesime tecniche produttive tramandate da generazione in generazione: è in questo contesto che il lavoro del Salumificio Sorrentino, sin dai tempi di Nonno Marino, tende a preservare la filosofia e l’approccio artigianale e contadino per realizzare ancora i prodotti abruzzesi tipici d’eccellenza ed esportarli nel Mondo.